Cosa fare a Napoli in 1 giorno | Raccontato dalla scrittrice Katherine Wilson

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E’ da leggere tutto d’un fiato questo articolo scritto per Napoli da Vivere da Katherine Wilson americana di  Washington D.C., autrice del libro La moglie americana. Un vero atto d’amore a Napoli, alla sua cultura e tradizioni, nonché alla famiglia napoletana che l’ha adottata. 

 

 

Un tempo Napoli era la meta culturale in Italia. «Vuoi sapere se qualche scintilla brucia in te? Allora corri, vola a Napoli», consigliava Jean-Jacques Rousseau ai suoi seguaci parigini nel 1768. Qui Caravaggio dipinse alcuni dei suoi capolavori più eccelsi, e Mozart supplicò il padre di trovare il modo per farlo esibire in questa città.

Da allora, molto è cambiato. Adesso, quando i miei amici americani mi chiamano per dirmi che vengono a Napoli, di solito usano l’espressione “passare per”. Dopo aver visitato Roma e Firenze, vanno a Capri, a Ischia o sulla Costiera Amalfitana, e Napoli è il porto d’imbarco. Hanno giusto il tempo di mangiare una pizza, e quale ristorante posso consigliargli? Magnifico, penso io, almeno vi fermate per una pizza. Non tutti lo fanno. Così gli parlo delle fantastiche pizze di Sorbillo, Michele e Starita. Tenete d’occhio l’orologio, comunque, perché c’è traffico e non vorrete mica perdere l’aliscafo.

Certo, fermarsi a Napoli per una pizza è meglio che non fermarsi a Napoli. Però mi rattrista pensare che di questo luogo magico ricorderanno solo un pasto frettoloso. Trascorrere almeno un’intera giornata, invece, dà l’occasione di conoscere alcuni dei luoghi più strabilianti della città senza lasciarsi sfuggire una sensazione di calma napoletana. L’ideale sarebbe dividere la giornata in due parti:  la prima è più dinamica e incentrata sui luoghi da visitare, la seconda è una specie di passeggiata digestiva. Al mattino, la prima tappa è la dimora del santo patrono di Napoli, San Gennaro, nella sua cappella all’interno del maestoso Duomo. San Gennaro era un martire che fu decapitato nel IV secolo, ed è il personaggio più importante della città. Nella cappella barocca, dopo aver osservato le statue d’oro e d’argento e l’immagine del santo stesso, con la mantellina rossa e la mitria a punta, guardate in alto e vedrete una delle rappresentazioni del paradiso più affollate e colorite che esistano. Somiglia ad una cucina napoletana durante il pranzo domenicale, con tutti i santi che sgomitano per avere un altro po’ di ragù. (Dov’è Gesù in questa chiesa, mamma?, mi ha chiesto mio figlio una volta, e io ho dovuto ammettere che non riuscivo a trovarlo!)

Se questa cappella vi è apparsa incredibilmente bella, aspettate di vedere il tesoro di San Gennaro, custodito proprio lì accanto, per restare a bocca aperta. La prima cosa che si nota nel Museo del Tesoro di San Gennaro è l’atto notarile con il quale il Santo s’impegnava a proteggere la città di Napoli. In cambio, nel corso dei secoli i napoletani e le case reali italiane e straniere gli hanno donato ornamenti inestimabili. In epoche di guerra, miseria e devastazione, gli artigiani hanno creato quella che a detta di molti è la collezione di gioielli più preziosa al mondo, addirittura più preziosa di quella della Corona d’Inghilterra. La prima volta che ho visto la mitria vescovile che incorona il busto del Santo durante le processioni, sono rimasta senza fiato. È decorata da oltre 3694 gemme (tra le quali diamanti, rubini e smeraldi) incastonati nell’oro massiccio.

(Nonostante a Napoli ci sono dei ladri tra i più bravi al mondo, nessun gioiello di San Gennaro è stato mai toccato, in tutti questi secoli. A quanto pare, il Santo s’infurierebbe e sarebbe la città a rimetterci. Ne ho chiesto a un’amica napoletana. Lei mi ha guardato come se fossi matta. “Sono ladri,” mi ha detto, “non scemi!”)

Se imboccate Via dei Tribunali, in 10 minuti a piedi arriverete in Piazza San Domenico Maggiore. Al caffè Scaturchio, ordinate una sfogliatella napoletana (ce ne sono di due tipi: la frolla, rotonda e pastosa, o la friabile riccia) e un espresso. Il caffè a Napoli va bevuto zuccherato dal barista stesso (perché se versate il caffè nello zucchero l’effetto è molto diverso dal versare lo zucchero nel caffè) per apprezzarne al meglio la squisitezza. Rimanetevene al bancone con la vostra sfogliatella calda e buttate giù il caffè in una sola sorsata rapida. Vi troverete in mezzo a gente che vi urta e che grida a un palmo dalla vostra faccia, ma quello che avviene al vostro palato in quel preciso istante avrà la precedenza.

Attraversate la piazza per raggiungere la cappella privata dei principi di Sansevero, che ospita la statua del Cristo Velato. La prima volta che ho visto questa scultura, le lacrime hanno cominciato a scorrermi giù per le guance senza che neanche me ne accorgessi. C’è una vulnerabilità straziante nelle vene tumefatte sulla fronte di Gesù e nelle tracce indistinte dei chiodi sulle sue mani. Quando mi fui ripresa, nella mia mente cominciarono a formarsi domande che avrei voluto fare al semisconosciuto scultore napoletano che aveva creato quella statua. Come si fa a rendere diafano il marmo? Come si riesce a cesellare le piaghe di Gesù in un blocco di pietra sotto il sudario di marmo? 

È il momento di incamminarsi verso la zona di San Gregorio Armeno, la viuzza nella quale gli artigiani di Napoli mettono in mostra i loro presepi fin dal XVII secolo. La rappresentazione della Natività è un pezzo forte del Natale napoletano, e le famiglie fanno a gara per l’allestimento più elaborato. Sono andati ben oltre il bue, l’asinello e i Re Magi: oggi si possono trovare attori famosi e calciatori del Napoli, statuette di Obama e della principessa Kate, piccole raffigurazioni commoventi di ogni sorta di mestieri: il libraio, il pescivendolo, il dentista. In mezzo a tutto questo folleggia la miriade di incarnazioni del buffone napoletano, Pulcinella, con la sua casacca bianca sopra la maglia rossa e la sua maschera nera.

I napoletani sono maestri nell’arte di arrangiarsi, trovare un modo creativo per fare un po’ di soldi quando i tempi sono duri. In questa zona, ci si può fermare presso i vari chioschi e bancarelle per vedere cosa si sono inventati. Di recente ho visto un tale che vendeva “lauree universitarie” per dieci euro, un altro si offriva come aiuto agli anziani per attraversare la strada. E tutti sono pronti a vendervi un cornetto portafortuna di terracotta, che tiene lontano il malocchio.

Siete affamati e stanchi, ed è ora di prendere un taxi che vi porti da Antonio e Antonio, un ristorante che dà sul Castel dell’Ovo, la fortezza medievale in mezzo alla baia. Pranzate con calma, per carità! A Napoli non si mangia di corsa. Tanto quasi tutti i negozi sono chiusi dalle 2 alle 4, perciò imitate il resto della città e sfamatevi come si deve.

Seduti all’aperto mentre esaminate il menu, potreste trovarvi ad affrontare un classico dilemma gastronomico napoletano: pizza o non pizza. Di solito io risolvo il problema prendendone una da condividere in due, così da lasciare un po’ di posto alla mozzarella di bufala fresca e ai piatti meridionali a base di verdure: parmigiana di melanzane, per esempio, con pomodori dal sapore intensissimo e la provola affumicata, oppure zucchine alla scapece, con menta e aglio. Avete ancora fame? Ordinate una frittura leggera di calamari spruzzata del succo pungente di un limone della costiera amalfitana.

Se dopo questo pranzo divino vi viene la tentazione di ordinare un caffè, resistete. Quasi nessun napoletano che si rispetti prende il caffè al ristorante, solo al bar. Mentre digerite, assonnati e sazi, incamminatevi verso Piazza del Plebiscito, dove lo spettacolare caffè Gambrinus sembra pronto per fare da sfondo a un salon francese del Settecento. Vale la pena vederlo per la scenografia, ma io e mio marito preferiamo il Vero Bar del Professore poco più in là. Se vi piace il gusto delle nocciole, il caffè alla nocciola è una cosa dell’altro mondo: una piccola esplosione di caffeina e un riassunto di tutti i dolci al cucchiaio che avete amato in vita vostra.

La città comincia a risvegliarsi dopo il riposo, e la passeggiata che farete adesso per Via Toledo, passando accanto al Teatro San Carlo e la straordinaria Galleria Umberto, deve essere una specie di vagabondaggio piacevole (camminare a lunghi passi decisi, all’americana, susciterà commenti in dialetto come: “Le parte ’o treno, levàteve ’a miezo!”) Fermatevi a guardare le vetrine. Gettate un’occhiata alla vostra sinistra per vedere i vicoli dei Quartieri Spagnoli, dove gli edifici sono uniti gli uni agli altri dai bucati stesi e le voci delle madri sgridano i ragazzini che giocano a pallone per strada.

Percorrendo Via Toledo, arriverete al Palazzo Zevallos Stigliano, un decoratissimo palazzo nobiliare che oggi custodisce l’ultimo dipinto di Caravaggio, il Martirio di sant’Orsola. (Caravaggio non riuscì a visitare Napoli con calma: era braccato, e aveva un disperato bisogno di una grazia papale. Nella sua folle fuga dalla città consegnò la tela con i colori ancora freschi, e dei servi inesperti la misero all’aperto perché il sole l’asciugasse.) È incalzante e ardente e di una bellezza esplosiva: una nota perfetta per concludere la vostra giornata a Napoli.

Katherine Wilson

Katherine Wilson, nata a Washington D.C., è l’autrice del libro La moglie americana, pubblicato in Italia da Piemme (Mondadori) ed in molte altre nazioni con grande successo. Si tratta di un inno d’amore a Napoli, alla sua cultura e tradizioni, nonché alla famiglia napoletana che l’ha adottata. Include, inoltre, 4 ricette tipiche della cucina napoletana. Goethe ha detto: “Vedi Napoli e poi muori”, ma Katherine Wilson ha visto Napoli ed ha iniziato a vivere.

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